Si al referendum sulle trivelle

Dovremmo presto prepararci a votare riguardo questi costosissimi macchinari per la trivellazione, secondo questa notizia di agenzia ANSA:

 

ROMA – La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivelle: il quesito riguarda la durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate. A proporlo sono nove Consigli regionali. Questo stesso quesito era già stato dichiarato ammissibile dalla Cassazione.

I quesiti referendari proposti erano in tutto sei. In un primo tempo l’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione li aveva accolti tutti. Ma il governo ha introdotto una serie di norme nella legge di Stabilità che hanno messo mano alla materia, ribadendo il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia mare. La Cassazione ha dovuto quindi nuovamente valutare i referendum e a quel punto ne ha ritenuto ammissibile solo uno, il sesto: il quesito riguarda nello specifico la norma che prevede che i permessi e le concessioni già rilasciati abbiano la “durata della vita utile del giacimento”.

Oggi c’è stato l’esame della Corte Costituzionale, che pure ha ritenuto ammissibile solo questo referendum, per l’abrogazione della norma. In un primo tempo le Regioni promotrici erano dieci, ma nei giorni scorsi l’Abruzzo ha scelto una diversa strategia e ha abbandonato la campagna referendaria

Trivelle: Consulta, un referendum ammesso, 5 improcedibili
La Corte Costituzionale nella seduta di oggi ha dichiarato ammissibile la richiesta di un referendum e improcedibili altre cinque richieste in materia di ricerca, prospezione e trivellazioni marine. Lo rende noto un comunicato della Consulta. Per questi ultimi cinque quesiti, la Corte Costituzionale non ha potuto che prendere atto della pronuncia dell’Ufficio centrale per il Referendum della Cassazione che aveva dichiarato “non hanno più corso le operazioni concernenti‎ le prime cinque richieste referendarie”, dichiarando conseguentemente l’estinzione del giudizio. Il quesito ammesso è l’unico del quale l’Ufficio centrale per il Referendum ha affermato la legittimità sulla base della normativa sopravvenuta (la Legge di Stabilità 2016). Nella nuova formulazione il referendum viene pertanto ad incentrarsi sulla previsione che le concessioni petrolifere già rilasciate durino fino all’esaurimento dei giacimenti, in tal modo prorogando di fatto – come rilevato dall’Ufficio centrale per il Referendum – i termini già previsti dalle concessioni stesse. La sentenza sarà depositata entro il 10 febbraio, come previsto dalla legge.

da ansa.it

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Costo petrolio e costo carburante: quale verità

Maximilian Cellino ha espresso un’opinione molto valida sulle pagine del Sole 24 Ore:

Il prezzo del petrolio e quello della benzina
I valori che si leggono ogni giorno sugli schermi dei trader fanno in realtà riferimento al prezzo della materia prima, che deve essere raffinata prima di diventare carburante. Esistono quindi costi industriali che sono comprimibili fino a un certo punto, e che verosimilmente non sono diminuiti in questi ultimi mesi. Ma non basta: a questi vanno aggiunti costi per la ricerca, l’operatività, l’estrazione, la distribuzione (alla rete va circa il 7% del prezzo finale) e anche le tasse e i margini di profitto che le compagnie vogliono mantenere. “Al contrario di quanto molti pensano – sottolinea Stefano Giudici, Digital Marketing Manager di MoneyFarm.com – questi ultimi non influiscono troppo sui costi data la forte competizione sul prezzo. Essi servono però a coprire i costi di gestione e di marketing, perché sebbene il petrolio sia un bene praticamente di prima necessità, al momento la produzione supera la domanda e quindi le case petrolifere devono combattere per accaparrarsi fette di mercato”. In ogni caso si tratta di voci di costo che costituiscono una sorta di “zoccolo duro” che impedisce ai prezzi alla pompa di adeguarsi in pieno a quelli del barile.

La componente Valutaria

Il prezzo del barile è sceso sotto ai trenta dollari. Dollari appunto, non euro, che è la valuta in cui noi paghiamo ogni giorno il distributore. Il biglietto verde però si è rafforzato in misura notevole negli ultimi anni, anche nei confronti del nostro euro. Ne consegue che l’effetto del crollo del prezzo del greggio viene in parte mitigato quando lo si vede con gli occhi di chi sta all’interno dell’Unione europea. Se il barile di petrolio ha perso l’80% del suo valore dai picchi del 2008 (e oltre il 40% negli ultimi tre mesi), l’impatto ricalcolato in euro è un po’ inferiore (comunque il 70% se si ragiona rispetto ai massimi storici).

Annosa questione accise

Gli italiani vedono come il fumo negli occhi le tasse, si sa. Ma nel caso della benzina forse non hanno tutti i torti, perché la componente fiscale da versare allo Stato quando ci si ferma dal benzinaio è davvero salata: tasse e accise pesano in Italia circa il 70% sul prezzo finale, e questo segna gran parte della differenza fra il nostro Paese e altri in Europa. Il caso delle accise (che sono fisse, e quindi pesano in proporzione automaticamente di più quando il prezzo si riduce) è forse il più emblematico e si presta in modo particolare e ben si presta alle recriminazioni e alle lamentele dei consumatori.

Sono infatti ancora attive quelle per finanziare la guerra d’Etiopia del 1935-36, così come quelle per il disastro del Vajont o il terremoto del Belice, anche se per via dell’inflazione hanno oggi un impatto irrisorio. Quelle introdotte nel 2011 in piena crisi del debito contano invece per quasi per 14 centesimi al litro e spiegano in gran parte, assieme all’aumento dell’Iva dal 20 al 22%, perché oggi il prezzo del gasolio sia ancora superiore all’euro a differenza di quanto avveniva nel gennaio 2009 quando il barile di greggio viaggiava comunque sopra i 30 dollari. “Anche se il prezzo del petrolio fosse gratuito e le case di distribuzione come Eni non facessero pagare la consegna senza generare profitto, fare benzina costerebbe comunque più di 50 centesimi al litro”, conferma Giudici. Lo stato fa cassa con i consumi di carburante degli italiani: non è certo una novità.

da ilsole24ore.com

da ilsole24ore.com

Aforismi e citazioni sul trading e l’investimento

da forexinfo.it

da forexinfo.it

Forexinfo.it ci propone un tema simpatico che non volevamo perdere. Rimanendo sull’onda dell’articolo precedente, vi proponiamo un tema che è realmente al limite dell’intrattenimento. Stavolta.
Ci auguriamo però di alimentare la vostra crescita personale. L’articolo è di seguito, vi auguriamo una buona lettura.

Quali sono gli aforismi più famosi sul trading e sul mondo dell’investimento?

Gli aforismi sul trading e sul mondo dell’investimento sono un ottimo modo per sfruttare la conoscenza dei grandi trader internazionali.

Nell’investimento nel mercato del Forex, ma anche nell’azionario e nel mercato delle materie prime, non esistono verità assolute o certezze, ma i trader più famosi al mondo hanno condiviso pillole di saggezza collettiva molto utili ai piccoli investitori per non dimenticare come raggiungere il successo nel trading.

Quindi, per arricchire la nostra conoscenza personale sul mondo del trading e dell’investimento, possiamo analizzare le frasi e le citazioni famose pronunciate dai grandi trader di successo.

Quali sono le citazioni più famose pronunciate dai più grandi trader internazionali? Di seguito troverete un elenco di alcuni degli aforismi più conosciuti riguardanti il trading e l’investimento, che potranno esservi utili per migliorare il vostro approccio verso i mercati finanziari.

Aforismi sul trading e sull’investimento: ecco i più famosi

Ecco i migliori aforismi sul trading e le citazioni dei grandi investitori che, pur non garantendo il successo, sicuramente ci spingeranno a riconsiderare alcune strategie e a continuare nella giusta direzione.

Partiamo con una delle citazioni più famose pronunciate da Warren Buffet, l’imprenditore ed economista statunitense considerato il più grande value investor di sempre:

“Se non riesci a guardare le azioni che detieni scendere del 50% senza farti prendere dal panico, non dovresti stare nel mercato azionario”.

Certo, Buffett potrebbe sopportare una perdita simile, ma la maggior parte degli operatori e degli investitori no, quindi la regola è: “mantieni la dimensione di ciascuna delle posizioni abbastanza piccola da poter dormire la notte”.

George Soros, imprenditore ed economista ungherese, ha pronunciato questa frase sul mondo dell’investimento. Siete d’accordo con lui?

“Non è importante che tu abbia ragione o torto, ma quanti soldi si fanno quando hai ragione e quanto si perde quando si ha torto”.

Tra le altre frasi famose sul mondo del trading segnaliamo questa si Bruce Kovner, trader di successo che partendo da poche centinaia di dollari è riuscito a guadagnare più di 300 milioni all’anno.

“I trader principianti aprono posizioni da 5 a 10 volte più grandi. Si prendono dal 5 al 10% di rischio che dovrebbe essere in realtà dell’1-2%”.

Nassim Nicholas Taleb, filosofo, matematico esperto di matematica finanziarie e autore del “Cigno Nero” pronunciò questa frase molto interessante:

“Quel che conta non è quanto sia probabile un evento, ma quanto si guadagni o si perda quando quell’evento accade”.

Nobel Laureate, invece, con questa frase ha cercato di far capire agli investitori che in questo mondo ci vuole pazienza, in quanto non c’è spazio per farsi trasportare dalle emozioni:

«Investire dovrebbe essere più come guardare un dipinto asciugarsi o osservare l’erba crescere. Se vuoi delle emozioni,  prendi $800 e vai a Las Vegas».

Queste comunque non sono le uniche frasi famose riguardanti il mondo del trading, in quanto facendo un’analisi approfondita delle dichiarazioni fatte dai più grandi trader internazionali si possono trovare alcuni aforismi molto interessanti. Ecco una selezione degli aforismi che (secondo noi) rappresentano al meglio il mondo del trading e dell’investimento:

“I mercati non sbagliano mai – le opinioni invece molto spesso”.

– Jesse Livermore

“Investire con successo significa anticipare le anticipazioni degli altri”.

– John Maynard Keynes

“In questa attività, se sei bravo, hai ragione sei volte su dieci. Non è mai capitato di avere ragione nove volte su dieci”.

– Peter Lynch

“Il metodo di trading migliore consiste nell’approfittare dell’avidità e della paura della folla”.

– Jimmy Chow

“Non litigate con il mercato, perché è come il tempo: anche se non è sempre buono, ha sempre ragione”.

–Kenneth Walden

USA: Donald Trump non è una sorpresa.

I più potrebbero pensare che l’articolo de L’indro sia stato selezionato per la simpatica correlazione con la fortunata serie I Simpson. In realtà è in questa raccolta per la sua semplicità nello spiegare il fenomeno Trump e i suoi punti punti di forza. Ecco, di seguito, il testo:

da lindro.it

da lindro.it

Parigi – Nel 2000, gli autori de I Simpson con la loro classica ironia e il loro spirito d’osservazione, immaginarono che il miliardario Donald Trump sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti e avrebbe lasciato l’incarico nell’anno 2030. In quell’episodio, intitolato ‘Bart to the future’, Bart Simpson riesce a dare un’occhiata al futuro: nella sua visione sua sorella Lisa sarà eletta Presidente e, dopo la sua elezione, dovrà avere a che fare con una situazione catastrofica conseguente alla fine del mandato del presidente Donald Trump.

Gli autori de I Simpson non sono autori comuni. Scrivono principalmente battute ironiche su due livelli: prima c’è la facciata dello scherzo, poi viene il significato dello scherzo stesso, con marcato sarcasmo, normalmente basato su di una profonda osservazione della società americana e/o di come funziona il mondo. In tutto ciò, i paradossi del nostro tempo e la sua incoerenza forniscono agli autori dei Simpson un’ispirazione fenomenale. La puntata de I Simpson su Donald Trump seguì questo schema perfettamente.

Dato che la Costituzione degli Stati Uniti limita il termine per i Presidenti, un Donald Trump che lascia la Casa Bianca in tempo perché Lisa inizi il suo primo mandato come Presidente nell’anno 2030, avrebbe dovuto essere eletto nell’anno 2020 ed essere rieletto nel 2024. Oppure essere eletto nel 2024 e servire un solo mandato. Se venisse eletto quest’anno, e sta conducendo le primarie repubblicane, in realtà batterebbe questa previsione in anticipo di almeno un mandato presidenziale.

Donald Trump è entrato in corsa per la Casa Bianca sei mesi fa. Da allora si è posizionato come favorito conducendo una campagna solida e aggressiva, di cui ha stabilito i toni e le questioni prioritarie grazie a svariate dichiarazioni tonanti e poco ortodosse.
Trump, che ha alimentato la controversia sul certificato di nascita di Obama nelle elezioni presidenziali del 2012, ha finora condotto una campagna magistrale dal punto di vista del marketing politico, in particolare in termini di risultati ottenuti.

Donald Trump ha preso di mira direttamente i colleghi repubblicani, i democratici, gli immigrati illegali, i messicani e i musulmani e, fin dall’inizio delle primarie, non ha mai smesso di esprimere considerazioni provocatorie, aumentando esponenzialmente la frequenza e la portata dei propri attacchi, ottenendo un riscontro positivo dopo l’altro, che l’hanno incoraggiato verso nuove controversie. Tant’è che oggi è il favorito per la nomina tra i repubblicani. Per le elezioni generali non è stato finora considerato come potenziale vincitore, in particolare perché viene visto da molti come una figura troppo controversa per essere votata. Ma gli restano buone possibilità per smentire quest’analisi, dato che i due potenziali avversari hanno debolezze che potrebbe facilmente capitalizzare visti il suo zelo e la sua aggressività.

Il nome di Hilary Clinton è legato a quello del marito, ex Presidente fortemente estremizzato, dal forte carisma e rispettato da molti americani. D’altro canto, Hilary ha servito come segretaria sotto il Presidente Obama in uno dei momenti più difficili delle ultime decadi per la diplomazia americana e inoltre, la sua attitudine nella campagna del 2008, che la vide rivaleggiare con Obama stesso, potrebbe essere facilmente riportata alla memoria.

Il candidato che conduce le primarie nei Democratici, l’autonominatosi socialista Bernie Sanders, ha condotto una campagna di sorprendente successo nella terra di zio Sam. Ed è una persona molto rispettata. Ma, in America, i socialisti vengono associati all’Unione Sovietica, al Comunismo, a Joseph Stalin e al totalitarismo. Inoltre, le paure di una potenziale presidenza di Bernie Sanders potrebbero turbare i cuori di molti americani che lo confondono per un comunista, in particolare i leader economici americani, mai troppo timidi nell’interferire in politica attraverso il controllo dei media o campagne di donazione diretta, e che non risparmieranno gli sforzi per far crollare la sua candidatura alle elezioni generali. E Donald Trump ha tutta l’intenzione di capitalizzare entrambi questi fattori.

Le attuali elezioni presidenziali USA ruotano attorno a Donald Trump molto più che ad altri candidati o temi. Di fatto, Donald Trump stesso è diventato l’argomento principale di discussione. Oggi la politica americana si pone domande quali: «Chi può sconfiggere Donald Trump se dovesse vincere le primarie?»; «Come guiderà la nazione una volta giunto alla Casa Bianca?”; «Come ha raggiunto l’attuale livello di successo politico?»; «Qual è il potenziale impatto della sua candidatura nella società americana?” e altri quesiti sulla validità delle sue vedute.

Gli autori de I Simpson avevano ragione: un Donald Trump presidente è possibile. E non dovremmo sorprenderci che la sua campagna sia stata così efficace. Da molti punti di vista Donald Trump è nato per raggiungere il successo come candidato alle presidenziali nell’America attuale. È semplicemente perfetto per l’America di oggi.

Ribassi per le telefonate all’estero

L’impegno per il trade internazionale è uno degli argomenti di punta per l’aim di questo sito. Il commercio sta divenendo sempre più immateriale; i servizi rubano sempre più la scena alle merci. Ecco un articolo di Luigi dell’Olio su Yahoo Finanza.

L’Europa diventa finalmente un mercato unico, almeno per quel che concerne la telefonia. Infatti il Parlamento europeo ha approvato l’abolizione delle tariffe roaming per l’uso dei telefoni cellulari all’estero a partire da giungo 2017. Quindi, da quel momento in poi le chiamate nell’area avranno lo stesso costo di quelle nazionali. L’intesa varrà non solo nei 28 Paesi membri, ma anche in Svizzera, Norvegia e Islanda.

Un percorso a tappe
I costi del roaming inizieranno a scendere già dal prossimo 30 aprile, con il ricarico massimo che sarà di 5 centesimi al minuto per le chiamate, 2 centesimi per i messaggi e 5 centesimi a megabyte per i dati (contro le tariffe attuali che hanno un tetto rispettivamente a 6, 19 e 20 centesimi). Per le chiamate ricevute, invece il ricarico massimo sarà la media ponderata dei tassi massimi di terminazione mobile in tutta l’Ue, che sarà presentato dalla Commissione entro la fine di quest’anno. Tirando le somme, negli ultimi otto anni il costo delle telefonate in Europa è stato abbattuto nell’ordine del 90%.

L’eccezione
Tutti gli operatori sono tenuti a rispettare queste regole nei confronti dei clienti in viaggio, a meno che non ravvisino eventuali abusi da parte degli utenti, ad esempio un utilizzo permanente fuori dai confini nazionali. In quel caso potranno utilizzare la cosiddetta clausola di “uso equo”, addebitando una maggiorazione rispetto alle tariffe standard.

La neutralità della Rete
Nella stessa occasione il Parlamento europeo ha ribadito il principio di neutralità della Rete. Questo significa che non potranno essere predisposti blocchi o limitazioni ai contenuti da parte dei fornitori dei servizi. Inoltre è stata ribadita la necessità di un ruolo di controllo da parte delle autorità nazionali sull’effettivo esercizio della net neutrality. Nel-2017-potremo-dire-addio-al-roaming-in-Europa-640x241

Fisco e tasse nella Confederazione Elvetica

Altresì detta Svizzera. Ancora una volta riportiamo un’annosa questione individuata da Wall Street Italia. L’articolo è di Daniele Chicca.

da tvsvizzera.it

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GINEVRA (WSI) – Tra i tanti effetti paradossali dei tassi sotto zero questo è sicuramente uno dei più assurdi: in un cantone della Svizzera le autorità del fisco hanno esortato i contribuenti a effettuare pagamenti il più tardi possibile.

Zug, un ricco cantone vicino a Zurigo, ha annunciato che non farà più sconti per i pagamenti delle tasse e bollette effettuati in anticipo. Più ha soldi in bilancio, infatti, più è probabile che il cantone finirà per pagare prezzi più alti come conseguenza dei tassi di interesse negativi imposti dalle banche svizzere. La misura permetterà alle autorità cantonali di risparmiare circa 2,5 milioni di dollari l’anno.

L’esempio di Zug potrebbe essere presto seguito da altri cantoni. La richiesta davvero insolita di Zug è l’ultimo di una serie di inaspettati effetti provocati dalle misure straordinarie intraprese dalla Swiss National Bank per indebolire il franco troppo forte, che sta penalizzando i gruppi esportatori. Gran parte degli affari commerciali delle aziende di orologi, gioielli e altri beni di lusso dell’economia svizzera sono stretti con l’Europa.

Nell’ambito di una guerra valutaria con la vicina Europa, un anno fa la banca nazionale elvetica (SNB), per rispondere ai tentativi di svalutazione dell’euro della Banca centrale europea, ha cercato a sua volta di ridurre il valore del franco eliminando il peg con l’euro.

Dopo che la SNB ha imposto tassi di interesse negativi, le banche commerciali hanno pian piano trasferito ai clienti più benestanti. Un contesto di tassi negativi comporta che i correntisti e chi ha un deposito in banca debbano sborsare denaro per poter parcheggiare i propri soldi presso le banche.

“Tenuto conto della lunga durata della fase di interessi bassi o negativi che devono essere pagati in Svizzera, il cantone non ha alcun incentivo a motivare i contribuenti a pagare in anticipo”, hanno dichiarato le autorità di Zug.

Al contrario, il cantone ha più di un motivo per ricevere i soldi il più tardi possibile, in modo da pagare interessi meno negativi di quelli attuali. Di solito le agenzie delle entrate sono molto zelanti nel chiedere i pagamenti ai contribuenti, ma gli interessi fiscali da sborsare per ripianare i propri debiti sono stati ridotti allo zero a Zug. I contribuenti debitori rischiano comunque di incorrere in multe e giudizi negativi in termini di affidabilità creditizia.

Il cantone di Zug non deve ancora pagare interessi negativi, ma gli effetti dei tassi sotto zero sono ancora difficili da prevedere e pertanto le autorità preferiscono mettere le mani avanti in materia di fisco.

Fonte: Financial Times

Crollo del barile

Si riaprono finestre su vecchi presagi. Ancora una volta nel mirino c’è l’export di petrolio da parte di compagnie americane. Il Sole 24 Ore ha dedicato un articolo in merito. Firmato Sissi Bellomo.

È iniziato il conto alla rovescia verso il debutto degli Stati Uniti come esportatori di Gas naturale liquefatto (Gnl). La nave metaniera Energy Atlantic dovrebbe attraccare oggi al molo di Sabine Pass Lng, l’impianto di Cheniere Energy al confine tra Louisiana e Texas, che è arrivato per primo al traguardo di vendere all’estero lo shale gas americano. La destinazione non è ancora nota, ma non è escluso che possa essere in Europa. Tra i primi a siglare un contratto di fornitura con Cheniere, di durata ventennale, era stato infatti Bg Group, gruppo britannico ora vicino alla fusione con Royal Dutch Shell.

Proprio nel Vecchio continente – per ironia della sorte in Norvegia, Paese forte produttore di gas – nelle prossime settimane arriverà certamente dagli Usa un carico di etano: feedstock petrolchimico alternativo alla nafta (che invece è ricavata dal petrolio), destinato allo stabilimento Ineos di Rafnes.

Una decina di anni fa nessuno avrebbe immaginato che gli Usa potessero esportare gas. Gli impianti di produzione di Gnl oggi in costruzione erano anzi stati progettati in origine come rigassificatori, nella convinzione che gli americani avrebbero aumentato la dipendenza energetica dall’estero. Con la rivoluzione dello shale è cambiato tutto: dal 2006 la produzione interna di gas ha ricominciato a crescere, raggiungendo livelli record a partire dal 2011.

La corsa ad esportare Gnl ha spinto a presentare richieste di autorizzazione per 54 impianti di liquefazione. Oltre a Sabine Pass, tuttavia, solo altri quattro sono in dirittura di arrivo. Per tutti gli altri il crollo dei prezzi di petrolio e gas ha resto il futuro quanto mai incerto. La stessa Cheniere – che in 19 anni di attività non ha mai fatto profitti – oggi come oggi rischia di esportare in perdita. Ma per fermare tutto ormai è troppo tardi .

da dailytech.org

da dailytech.org

La sfida di Fiat Chrysler Autor

Riportiamo di seguito una notizia d’agenzia (ANSA), ricordando preventivamente che Marchionne ha promesso di curare personalmente i piani industriale e finanziario del prossimo trimestre in FCA.

Il consolidamento nell’industria dell’auto è “inevitabile”. Ma Fca per ora si sfila. La priorità è il piano al 2018 e “avere un’enfasi maniacale sul raggiungimento dei numeri, per poter dare sicurezza alla società anche quando io non ci sarò”. E per poter “togliersi quelli che Renzi chiama i gufi”. Sergio Marchionne al Salone dell’Auto di Detroit conferma i target finanziari per il gruppo, più vicini dopo l'”eccezionale” 2015 e raggiungibili anche con volumi di vendita inferiori alle attese, e afferma: “Non voglio lasciare una cucina che non può essere usata dal mio successore”.
Una ‘cucina in ordine’ ha un debito azzerato e un utile di 5 miliardi di euro, come previsto nel piano industriale.

Su chi lo succederà alla guida, Marchionne vede un “numero” di possibili successori. E scherza su un suo possibile futuro da giornalista. Accanto a John Elkann, si lascia andare all’idea di un quotidiano il ‘John and Sergio Daily’. Un giornale “cartaceo” precisa Elkann.

Una ‘cucina in ordine’ ha un debito azzerato e un utile di 5 miliardi di euro, come previsto nel piano industriale.

da gqitalia.it

da gqitalia.it

Emotient: Apple acquista ancora

Apple ha oggi acquistato Emotient, una startup che si occupa di intelligenza artificiale. La notizia diffusa dal Wall Street Journal ed è stata confermata da Cupertino al quotidiano. Tuttavia non sono stati diffusi i dettagli circa l’accordo e il denaro messo sul piatto da Apple. Emotient è una società che sviluppa sistemi di riconoscimento facciale in grado di leggere le emozioni sul volto delle persone. Quindi in futuro gli iPhone e gli altri prodotti dell’azienda californiana saranno in grado di leggere le emozioni.

Non è chiaro quale sia il motivo che ha spinto il gruppo guidato da Tim Cook ad acquistare la startup, che offre servizi soprattutto ad agenzie pubblicitarie per riuscire a capire quali sono le reazioni delle persone alle inserzioni che leggono o guardano. Inoltre molti medici e ricercatori hanno usato il software per cercare di capire quali sono i segni di dolore dei loro pazienti.

L’azienda americana, recentemente, aveva fatto sapere di essere avere chiesto e ottenuto il brevetto per un sistema in grado di acquisire, analizzare e catalogare 100 mila espressioni al giorno, al fine di affinare sempre più il suo metodo. Emotient era riuscita a raccogliere 8 milioni di dollari di finanziamento per continuare a implementare la tecnologia; recentemente però aveva rinunciato a portare a termine un secondo giro di finanziamento ritenendo che i termini dello stesso non fossero favorevoli.

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Emotient ha sede a San Diego, California, e in precedenza ha raccolto 8 milioni di dollari in finanziamenti, anche da Intel. Questa settimana il gruppo aveva rivisto il suo sito togliendo i dettagli dei servizi offerti alle aziende.

Cina: un’economia di mercato mancata

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da neurope.eu

L’unione europea che lotta contro la concessione alla Cina dello status di economia di mercato trova forte appoggio dagli USA. Secondo fonti del governo statunitense interrogate dal Financial Times, infatti, dare a Pechino questo status potrebbe porre a rischio gli sforzi per riuscire ad evitare che imprese cinesi invadano i mercati di UE e USA con prodotti illecitamente a buon mercato. L’amministrazione Obama sostiene che la concessione possa disarmare unilateralmente le barriere commerciali europee in prospettiva anti-cinese.

Ottenere la qualità di economia di mercato alla Word trade organization è uno degli obiettivi cinesi. Tra i bonus ci sarebbero l’aumento di difficoltà di Europa e America a applicare imposte antidumping su imprese made in China che abbassano scorrettamente i prezzi a imprese e consumatori. La CE dovrebbe decidersi su questo argomento e sarebbe orientata verso l’approvazione. Gli stati europei sono divisi sull’esito. Cameron e Merkel, ognuno per le due nazioni le cui imprese hanno investito molto in Cina, sono favorevoli. Altri paesi, tra cui l’Italia, non lo sono perché sospettano che questa decisione potrebbe rappresentare la fine per le proprie industrie.

Accesa discussione sull’accordo d’ingresso della Cina nella Wto nel 2001, con la Cina che si batte affinché questo comporti automaticamente l’acquisizione di status di economia di mercato a fine anno. Quindici anni fa la UE decise che entro i termini del 2016 avrebbe potuto valutare di cedere alla Cina questa qualifica. 
Stando ai regolamenti della Word trade organization, il mancato status di economia di mercato della Cina concede all’Europa e agli Stati Uniti un più grande margine di manovra sui prezzi corretti di produzione per le aziende cinesi nelle indagini anti-dumping. È il caso del campo dell’energia solare, delle calzature e delle piastrelle.