Gli sciacalli libici

Lo Stato italiano deve una risposta di verità a Rosalba»: lo ha detto Francesco Caroleo Grimaldi, avvocato della vedova di Salvatore Failla, uno dei due ostaggi uccisi in Libia, intervenendo ad Agorà su Rai Tre. E di certo non solo a Rosalba. E, ancora, non c’era bisogno che si pronunciasse un legale. Ricordo ancora quando ho scritto di ragazzi che potrebbero essere i miei figli. Ragazzi morti.

E questi potrebbero essere miei fratelli. Sono miei fratelli. «A nessun essere umano auguro sette mesi di umiliazioni, vessazioni, ritorsioni come quelle che abbiamo dovuto subire. Nessuno dovrebbe patire mai qualcosa del genere. Tutto a opera non di bande armate, ma di criminali, ripeto, di criminali […] Penso al dolore delle loro famiglie. Così come penso alla gioia dei cari di Filippo Calcagno, che ringrazio per aver fatto il possibile per salvarci».

Non si sa se ci sono stati dei passaggi o se c’è stato un effettivamente un intervento dell’Isis. Non si sa in quale modo e da chi sono partiti i colpi che hanno ucciso Salvatore Failla. Non si sa neanche se si riuscirà a evitare l’autopsia, che la signora Failla avverte come un oltraggio.
Ebbene, se questa è democrazia, la stessa democrazia che non fa mangiare i bambini di genitori che evadono le tasse, allora il potere del “demos” andrebbe giustamente rispettato. Innanzitutto, il demos italiano vuole che i corpi non rimangano presso Sabrata, come è tutt’ora. Vogliamo avere piena sovranità su un caso che è successo a nostri uomini. Tecnici italiani. Tecnici la cui memoria deve essere rispettata.

Criminali comuni, non legati a Is. Secondo quanto emerge dalle parole dei due tecnici, il gruppo che li ha tenuti prigionieri sarebbe composto da islamisti non direttamente riconducibile all’Is.
Deposto un qual certo despota di cui non facciamo il nome, eccoci piombati nel caos del vicino. Caos di cui non conosciamo i risvolti.

da ilsecoloxix.it

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Hillary, criminale

da ilpost.it

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Con il Super Tuesday Hillary Clinton e Donald Trump hanno dominato mentre il senatore democratico Bernie Sanders porta a casa anche l’Oklahoma, finisce a mani vuote la serata di Marco Rubio, sui cui puntava l’establishment sperando nel miracolo. La sfida in vista della volata finale verso la Casa Bianca, insomma, è sempre più tra l’ex first lady e il tycoon di New York. Un tycoon molto vicino a certi ambienti e lievemente lontano da alcune mie posizioni.

Ma la grande mela è sempre stata dei conservatori e lo sarà ancora a lungo. Mayor o no. Del resto, un paese che ha abolito la schiavitù mentre tutto il vecchio continente pullulava di tratte di ogni genere di immigrato era guidato da un conservatore all’epoca dei fatti. E, per pazza che possa essere – o che possa venir dipinta! – una posizione sui generis come quella di chi vive le stesse paure del suo elettorato, gli atti pratici di Donald Trump non si fermerebbero ad un banale muro. E certamente non è quello il problema!

Quello che Hillary ha fatto è un atto criminale. Non è meno di quanto fatto nel watergate, a mio avviso. E non voglio nemmeno arrivare a polemiche tanto ben servite su un piatto d’argento da Crozza in uno dei suoi ben noti appuntamenti serali quando parla di lei esterrefatto per il comportamento degli americani in guerra e con le intelligence dei paesi musulmani, quando non sono quelli dei terroristi.

Quello che lei ha fatto è un atto criminale. E noi ci fermiamo all’idea dei muri. Durante i suoi quattro anni di mandato da segretario di Stato americano, Hillary Clinton ha usato per le cose di lavoro sempre e solo il suo indirizzo personale di posta elettronica: la cosa ha impedito alle autorità federali statunitensi di acquisire i registri delle sue comunicazioni professionali, come da prassi per chi ricopre incarichi pubblici, e, secondo posizioni eminenti di opinion leaders come il New York Times, quindi non necessariamente secondo Trump, avrebbe violato la legge. Del resto se scrivessi alcune semplici parole – FBI, San Bernardino, strage, iPhone – evocherei facili pensieri.