La balena blu

Scrivo spesso per informare, basta vedere qualche intervento su questo blog. Non sono più adolescente da qualche anno oramai. Quando ho conosciuto il fenomeno della blu whale (in italiano: balena blu) cascavo dal pero. Nel mio caso nulla quaestio, ma mi metto nei panni di tanti genitori i cui figli erano con la testa sui binari di un treno o sul tetto di un palazzo.

Arturo di Mascio - Blu Whale

Da ilgiornale.it

Ma andiamo per gradi. Blu Whale è un gioco che nasce in Russia. Ma in realtà nasce nell’etere. I giocatori sono due. Uno, quello che coordina le sfide, si chiama curatore. Gli effettivi giocatori, però, sono i nostri figli. Il curatore li contatta in maniera anonima, generalmente ingaggiandoli sui social network (Facebook e Snapchat in testa). Lo si riconosce dalla prima prima sfida che sottopone ai ragazzini: l’iniziazione è sempre la stessa e richiede l’incisione sulla pelle di una balena, con chiodi, coltelli, tagliacarte o qualunque cosa sia utile.

Le successive sfide sono prove di coraggio: attraversamento dei binari con treno in arrivo, altre incisioni, escursioni nei cimiteri. Certo, molto spesso la liturgia è declinata dalla fantasia del curatore, così come il problem solving della sfida è appannaggio dei nostri vivaci ragazzi. Ma il capolinea è sempre lo stesso: l’ultima sfida è il suicidio.

A Catania, un sedicenne è stato denunciato per istigazione al suicidio nei confronti di una giovane ragazza che aveva cominciato a giocare. È schifoso; quando ho saputo del gioco non avrei mai pensato che dietro l’account di un curatore ci potesse essere un minorenne. Nel romano, una ragazzina è stata salvata da una sua compagna di classe dopo aver tentato il suicidio con le lame e aver progettato una exit strategy tramite binari della metro.

Sono miserie che si commentano da sole. Tra le pagine de l’Uomo è un dio Mancato narro dell’arrivo a Bangui (Rep. Centrafricana). Sembra banale dirlo ma provate a sottoporre un gioco del genere a persone che conoscono la guerra e la fame.